“Una volta Gigi Saccomandi, il mio disegnatore luci, disse che prima di conoscermi pensava che io fossi tanto stronzo, invece nel conoscermi gli ero risultato tanto simpatico, e da allora mi interrogo sul perché ho una fama del genere, e forse uno dei motivi è che, come dicono i miei collaboratori più antichi, io dirigo il teatro con la “porta aperta”, cioè le mie riunioni non sono mai a porte chiuse, perché io trovo che i giochi di potere che stanno dietro al teatro, esistono in tutte le strutture del mondo, e quindi tanto vale raccontarli a carte scoperte.” Chi parla è Luca De Fusco, regista dalla carriera pluridecennale, che da sei mesi ha assunto la direzione artistica dello Stabile di Napoli, succedendo, non senza polemiche, al collega Andrea De Rosa, esautorato prima che il mandato avesse avuto naturale conclusione, dopo una focosa riunione del consiglio d’amministrazione, che, preso atto del bilancio non propriamente brillante, dal punto di vista economico, gli ha in tutta fretta passato il timone delle tre sale che fanno capo allo Stabile: Il Mercadante, il ridotto dello stesso teatro, e lo storico San Ferdinando. Le polemiche che ne sono scaturite sono state tante, tutte, perlopiù, dettate soprattutto da ragioni politiche: De Rosa fortemente sostenuto dalla sinistra, De Fusco direttamente ed apertamente dal vicepresidente del consiglio Gianni Letta: “Chiunque arrivi in posti del genere ha una copertura politica, nessuno è nominato dallo Spirito Santo, però io tendo a raccontare le mie, mentre gli altri tendono a dire di essere stati nominati dallo Spirito Santo. “ Di fronte a dichiarazioni simili davvero risulta difficile ipotizzare di poter provocare una qualsivoglia polemica. Luca De Fusco, dalla sua, ha sicuramente un’esperienza importante nella direzione di un teatro Stabile, essendo stato direttore di quello veneto per ben dieci anni, ed anche nell’organizzare eventi festivalieri (è stato l’deatore del Festival delle ville Vesuviane), pertanto, all’indomani delle dimissioni del Direttore Artistico del Napoli Teatro Festival, Renato Quaglia, l’assessore regionale alla cultura, Caterina Miraglia, succeduta a sua volta a Rachele Furfaro come presidente della Fondazione Campania dei Festival, ha ben pensato di affidare allo stesso De Fusco anche la direzione di quello che, nelle intenzioni dell’ex ministro alla cultura Rutelli, si colloca come il festival principale tra quelli del teatro organizzati nella nostra nazione, al pari di Avignone in Francia e di Edimburgo nel Regno Unito.
Quindi eccolo qui, nel suo ufficio situato giusto all’ingresso della sede della Fondazione. La porta, naturalmente, è aperta, come il suo sorriso, che mi accolgono in una soleggiata mattina di fine maggio, con informale cordialità. Napoletano, per anni ha lavorato, come dicevamo in Veneto, viene quindi subito alla mente che il suo percorso è inverso a quello del suo predecessore Quaglia, friulano trapiantato a Napoli. Ma ora, con le due fresche nomine, non si può certo dire che egli non sia profeta in patria, pertanto la nostra chiacchierata comincia proprio da lì:
Eduardo in un impeto di rabbia e di sconforto nei confronti delle istituzioni napoletane gridò “Fujtevenne!” (“Scappate via”), lei ha compiuto il percorso opposto, dopo anni di lusinghiera attività fuori dalla sua città, ci ritorna in grande stile, con la direzione di due delle tre più importanti istituzioni teatrali napoletane, insieme con il teatro Lirico. Come è stato l’impatto?
Direi che sono stato accolto non particolarmente bene nel “primo atto” del mio arrivo, al Mercadante, ed invece mi sembra, tutto sommato, al di là dei nostri predecessori, che ovviamente non sono contenti, ed hanno le loro ragioni, che ci sia stata una maggiore comprensione ed accettazione del disegno della Regione quando è arrivata la seconda direzione, perché si è avvertito in seno della comunità teatrale napoletana, il senso di un progetto. E adesso che al Mercadante ci sono entrato veramente, perché io ho fatto un contratto per cui all’inizio programmavo ma non andavo in ufficio la mattina, posso dire serenamente, che senza la collaborazione ed il sostegno del Napoli Teatro Festival il Teatro Stabile di Napoli non avrebbe presentato alcun cartellone per la prossima stagione, avrebbe chiuso, per quella situazione che ho trovato. Quindi credo si sia capito che l’intento era quello di fare sistema, senza il quale non si può andare da nessuna parte, e questo, per lo Stabile di Napoli, vale in maniera precisa, perché mentre i fondi POR, con cui vive il festival ,sono discutibili e trattabili con Bruxelles, la diminuzione dei contributi fissi dei soci dello Stabile è ineluttabile da molti anni. Solo tre anni fa le sovvenzioni di Regione e Provincia erano il doppio rispetto a quelle di ora. Quindi l’Assessore Miraglia, che ha la passione per le sinergie, si è detta che uno dei modi che abbiamo per uscirne è che il produttore esecutivo di molti spettacoli del Napoli Teatro Festival diventi il Teatro Stabile di Napoli. In modo che, sostanzialmente, la parte spettacoli dello Stabile sia, non integralmente, ma in buona parte, sostenuta dal Festival. A questo punto mi pare che, avvertita la seconda parte del disegno nella sua complessità, ci sia stata da parte dei teatranti della città un atteggiamento cordiale, a me non sembra di respirare un’aria ostile. Sarà perché sono stato abituato per dieci anni a dover dirigere il Teatro Stabile del Veneto sopportando “l’onta” di essere napoletano, e qui questo non me lo possono rinfacciare. (ride)
Cosa le ha fatto più piacere e cosa più dispiacere tra tutto quello che è stato detto all’indomani delle due nomine?
La cosa che mi ha fatto più piacere è che mi abbiano definito “socialista craxiano”, dato che è una definizione che fa parte di un’altra era storica, e come essere definito “mazziniano”, quindi una definizione nelle parti ma anche al di sopra delle parti, e questo mi ha fatto molto piacere. Quello che invece mi ha fatto dispiacere è vedere la velocità con la quale tanti oppositori alla mia nomina, negli ultimi dieci giorni di dicembre, siano diventati dei postulanti immediati nei primi dieci giorni di gennaio. Questo fa parte della debolezza della natura umana e della scarsezza di dignità che ogni tanto attraversa chi fa questo mestiere.
Quali sono le novità per questa nuova edizione del festival?
Alcune novità di quest’anno sono determinate dallo stato di necessità : il cambio di date che ci fa coincidere, purtroppo inevitabilmente, con Spoleto, non è una scelta e non sarà riproposto per le prossime edizioni. Io amo moltissimo Lepage, che ho trovato (nella programmazione ereditata da Renato Quaglia, Ndr), e mi sono dato un “dogma”, come si dice per i dogmi estetici, cioè che dovevo fare tutto per “tenere dentro” Lepage. Quindi il suo "Le Dragon Bleu”, che sarebbe stato l’ultimo evento del festival, è diventato poi quello inaugurale. Un altro stato di necessità mi ha spinto a creare una sorta di “coda” a fine settembre, sia per mettere dentro uno spettacolo importante come “La Casa di Bernarda Alba” diretto da Lluis Pasqual, che per inserire lo spettacolo di Scaparro "Il Sogno dei Mille", supplendo così alla dimenticanza di chi ci ha preceduti circa il fatto che quest’edizione cade nel centocinquantenario dell’Unità d’Italia. Una novità che invece non è data dalla necessità, o da dimenticanze altrui, ma da un mio piacere, è stata quella di importare dal Veneto gli ex Premi Olimpici, e farli diventare i Premi Maschere del Teatro, ottenendo molto facilmente, e lo ringrazio, dal direttore di Raiuno, la diretta in differita in seconda serata, e quindi dando, in questo modo, alla manifestazione il valore aggiunto di una visibilità per un milione di spettatori, che, ovviamente, a questo punto, come sapevano che il Teatro Olimpico di Vicenza era un luogo da visitare, così apprenderanno l’esistenza del Napoli Teatro Festival, e forse qualcuno di questi l’anno prossimo diverrà un nostro spettatore. Queste le novità strategiche, poi mi fa piacere evidenziare che alcune ospitalità, come quella dello spettacolo “The Tempest” di Shakespeare, diretta da Declan Donnellan, sono state prese letteralmente al volo. Noi organizziamo questa manifestazione in continuo stato di panico, ci sentiamo come su di un tapis roulant che va in senso inverso, quindi tutto molto faticoso, ma poi, quando qualcosa va in porto, è tutto molto entusiasmante. Ci sono cose scelte da Quaglia ed altre da me, ma francamente oramai tendo a dimenticare chi ha scelto cosa, ma quello su cui ho dato una certa impronta è, ad esempio, la presenza de “L’Opera da Tre Soldi” (da lui stesso diretta, con Massimo Ranieri nel ruolo di Mackie Messer , Gaia Aprea in quello di Polly e Lina Sastri che sarà Jenny delle Spelonche, ndr), perché credo che, accanto alle grandi ospitalità internazionali, si debba fare più produzione interna, spettacoli, cioè, che vengano provati ed allestiti a Napoli , il che non vuol dire diventare autarchici. Per esempio, un’idea che ho, è quella di andare a proporre un Viviani a quella colonia di teatranti argentini naturalizzati francesi come Lavelli o Rodriguez Arias, che lavorano spesso sul teatro musicale. Arias è l’autore di “Concha Bonita” e “Le pene d’amore di una gatta inglese”, spettacolo che lanciò Gaia Aprea, diventata poi la mia prima attrice. Mi incuriosisce molto scoprire come vedrebbero loro il teatro di Viviani, come esponenti di una tradizione di teatro musicale lontana da quest’autore possa dirigere qui attori , ad esempio, del nostro Teatro Bellini. Una cosa del genere mi piacerebbe farla fare qui, provare qui, portarla in scena qui. Non autarchicamente, ripeto, mescolando le cose, ma facendo un po’ meno spettacoli in affitto.
Una delle maggiori critiche fatte alle scorse edizioni del festival era dovuta allo scarso coinvolgimento della città alla vita del festival stesso. Come avete pensato di correggere questa mancanza?
La prima cosa che abbiamo fatto è abolire le tessere che davano la gratuità su tutti gli spettacoli, perché ho capito che quella che non era una cattiva intenzione da parte di chi l’aveva progettata, causava però l’inconveniente che indispettiva molto i cittadini, cioè che i posti di molti spettacoli erano dati per esauriti, mentre invece rimanevano posti vuoti che erano per chi aveva confermato la propria presenza e non si era preoccupato di disdire, solo perché il biglietto era gratuito. Poi abbiamo realizzato lo spostamento del “dopo-festival” dal Museo PAN, che mi sembrava una sede un po’ sovietica, al Borgo Marinari. Il borgo intorno al Castel dell’Ovo dovrebbe diventare una sorta di “set” del Festival, nel tentativo di far diventare piccola una città grande, e quindi creare un punto d’incontro. Potrebbe essere un divertimento del festival. andare a mangiare, in convenzione coi ristoratori del posto, accanto gli artisti che si sono appena esibiti, come era divertente, negli anni d’oro di Spoleto, incontrare Romolo Valli o Giorgio De Lullo in piazzetta che bevevano il caffè al tavolo accanto. I festival vivono anche di queste cose. Sulla facciata di Castel dell’Ovo saranno, inoltre, proiettate immagini del backstage degli spettacoli , visibili a tutti coloro, che sono tanti, che almeno una volta al giorno passano lì davanti. Questo mi sembra un ulteriore modo di dare alla città un segno di maggiore apertura. Comunque, e non lo dico per mettere le mani avanti, perché di questo cartellone vado fiero, e per me rappresenta la fatica più improba della mia carriera di direttore artistico, avendolo costruito in soli due mesi, è chiaro, però, che il festival mio al 100% sarà quello dell’edizione 2012.
Quali saranno i luoghi che ospiteranno gli spettacoli?
Una delle scelte che ho fatto è stata quella di riaprire al pubblico (dopo che era stato deciso di non utilizzarlo, almeno per questa edizione, ndr), l’Albergo dei Poveri (Palazzo Fuga in piazza Carlo III, ndr) risultando il luogo centrale del festival, e l’ho fatto specchiandomi nello sguardo dei componenti del mio staff, uno staff in cui credo molto e per il quale devo essere riconoscente e chi ci ha preceduto, e ricordo che una mattina, recandomi in ufficio, ho espresso il mio desidero di non lasciar chiudere l’albergo dei poveri, ed ho visto lo sguardo dei miei collaboratori illuminarsi , per cui sono andato dietro a questa cosa. Anzi io ho un sogno: quando un giorno ci potranno concedere il cortile a stella, all’interno di quel palazzo, poter aprire una sorta di multisala teatrale, in cui finito uno spettacolo basta attraversare per vederne un altro. Persino il Festival di Avignone non può vantare due cortili nel Palazzo dei Papi. Per il Fringe, invece, abbioamo pensato di ridurre a due le sale che ne saranno ospiti, e per la precisione il Teatro Sannazzaro ed il Ridotto del Mercadante, in modo da evitare emarginazioni logistiche.
Ritornando alle Maschere del Teatro, quali sono i tempi e le modalità?
Il 13 giugno ci sarà la solita serata al Teatro Valle, con la giuria, quest’anno ridotta ad 11 elementi, che deciderà le terne. Un momento particolarmente divertente, poiché tutti gli intrighi e le alleanze che avvengono in tutte le giurie del mondo, lì avvengono alla luce del sole. Sempre per la logica dell’assenza di nomine da parte dello Spirito Santo, anche i giurati che scelgono i finalisti al premio non hanno illuminazione in conclave, per cui tutto avviene alla presenza del pubblico, con tanto divertimento. Io sono sempre preoccupato per Gianni Letta, perché questo gioco tra giuria e platea un giorno possa trascendere e diventi una beccata ad una persona come lui, che parla così poco ed è così avvolta nel riserbo, invece lui è bravissimo ad addomesticare i facinorosi. L’8 settembre ci sarà invece la serata al San Carlo analoga a quella che si teneva al Teatro Olimpico di Vicenza, anzi do ai suoi lettori la notizia in anteprima che il premio tornerà ad avere come presentatore Tullio Solenghi. La giuria che designerà i vincitori assoluti è composta, invece, da circa 500 teatranti.
Qualche anticipazione per la stagione dello Stabile?
Per lo Stabile la svolta è radicale: lì sono stato nominato in tempo per programmare partendo da zero. Ho scelto di fare per la sala principale del Teatro Mercadante un cartellone in cui sarà protagonista la grande scena nazionale, mentre per il ridotto ho ideato una sorta di galleria per sole donne, ovvero tutti monologhi al femminile. La programmazione del San Ferdinando sarà invece dedicata al teatro napoletano, dai drammaturghi di tradizione a quelli più recenti, come Ruccello e Moscato, tutti quelli che, insomma, abbiano come riferimento il dialetto. In tutte e tre le sale ho cercato di realizzare una sorta di ritorno dei napoletani nel teatro della loro città. Artisti come Lina Sastri, Massimo Ranieri o Mariano Rigillo non sono mai stati, in passato, scritturati dal teatro Stabile, e questo, francamente, mi sembra incomprensibile. Il mio amico Lluis Pasqual mi dice sempre che per lui ci sono tre grandi scuole attoriali in Europa: quella inglese, quella russa e quella napoletana. Non vorrei sembrare un leghista del sud, ma mi sembra paradossale che nella città di Napoli, che è quella che il maggior numero di primi attori in Italia, gli artisti che ho nominato e tanti altri, fossero così raramente scritturati per spettacoli di produzione del teatro Stabile. Questo, per altro, procurava una sorta di fuga degli spettatori di questo teatro: l’anno scorso si è chiuso con la media di occupazione sala del 50% al Mercadante (spaventosa per una sala di 550 posti, al centro di una città di un milione d’abitanti), e con una media del 24% di tasso d’occupazione della sala al San Ferdinando: praticamente un teatro vuoto. Pertanto, mentre ho molta considerazione per ciò che ha fatto Quaglia per il festival, penso che invece una gestione simile dello Stabile non sia accettabile: si è tanto parlato della andata via anticipata di Andrea De Rosa (l’ex direttore dello Stabile di Napoli, defenestrato lo scorso dicembre, non senza polemiche, dal consiglio d’amministrazione, ndr), ma in America un direttore che programma così non sarebbe durato tre mesi. Quindi credo che nel caso dello Stabile ci fosse un totale scollamento tra la nobile volontà delle gestioni precedenti di fare del Mercadante un grande Teatro Nuovo (il teatro napoletano leader nella ricerca, ndr) ed il destino naturale di un teatro Stabile, che è altra cosa da un teatro di innovazione.
Prevede comunque di dare spazio ad artisti della nuova generazione, all’interno dello Stabile?
Sì, già ci sarà quest’anno. Io non intendo portare un ritorno in massa della generazione dei cinquantenni o sessantenni, che comunque in passato è stata un po’ troppo esclusa, ma cercherò di avere una direzione plurale, e di non far fuori nessun clan, anche perché sono stato vittima per dieci anni del fatto che i miei spettacoli che dal Veneto pur avendo girato l’Italia ed il mondo, dal Piccolo di Milano, all’Argentina a Roma, per poi approdare a Parigi e Berlino, non sono stati mai inseriti, nemmeno una volta, nel cartellone del Mercadante. Questo fa capire come quella squadra, al contrario di quella capitanata da Quaglia, fosse organizzata militarmente come un clan. Io rispondo a tutte le mail di coloro che vogliono stare in cartellone, e questa cosa viene salutata con sbigottimento da chi riceve la risposta, poiché erano abituati a considerare il Mercadante una sorta di fortino dove un gruppo si era installato e non ce n’era per nessun altro. E questo non mi sembra un modo per fare un teatro Stabile.
Napoli avrà un nuovo sindaco: cosa si augura potrà fare per il teatro, chiunque egli sarà? (l’intervista è stata rilasciata il 26 maggio, prima delle consultazioni per il ballottaggio, ndr)
Mi auguro innanzitutto che scongiuri il dissesto finanziario del comune, perché se ci comunicano che i nostri crediti di oltre due anni saranno pagati al 50% si ritorna nel rischio chiusura, e questa è una preoccupazione enorme e molto seria. È inutile che si dica che si può andare avanti con l’ordinario che tutto si rimetterà a posto, le notizie che ho riportano che il buco è tale che non è pensabile che qualcuno lo sani. Inoltre questa concezione per la quale la programmazione culturale e di spettacoli è appannaggio solo del centro-sinistra ottiene due risultati negativi: il primo e quello che il centro-destra consideri molto spesso questo mondo un mondo di nemici, e quindi effettua tagli anche perché tanto si taglia in un territorio ostile. Ragionamento assolutamente sbagliato, in ogni caso. Però quando i clan dominanti avvalorano questa tesi aiutano a rimanere nell’errore. Il secondo risultato negativo è che il patrimonio culturale dovrebbe appartenere a tutti i cittadini, quindi l’idea che possa essere gestito solo da che ne rappresenta una metà è pur essa sbagliata. Perciò spero che chiunque sia questa stagione nuova del comune di Napoli sia una stagione che consideri coloro che la pensino diversamente come degli avversari e non come dei nemici. La concezione del nemico è una concezione che avvelena questo momento della vita politica ed è del tutto estranea alla mia cultura ed alla mia formazione. Infatti la persona della quale mi onore d’avere la stima e, com’è noto, mi sostiene, è Gianni Letta, una delle poche persone che nello schieramento di centro-destra non considera come nemico nessuno ma qualcuno come avversario. Ci vorrebbero molti Gianni Letta anche nell’altro schieramento, perché questa concezione che chi è diverso da te è il male del mondo è una concezione barbarica, io credo che il maggioritario abbia fatto male a questo paese, noi non siamo adatti a questo sistema che ci divide subito in guelfi e ghibellini.
Come desidera sia ricordata l’edizione 2011 del Napoli Teatro Festival?
Certamente vorrei si dicesse che noi, tutti insieme, dalla presidente Miraglia al consiglio d’amministrazione, includendo me e tutto o staff, abbiamo salvato il festival, arrivando giusto in tempo per far sì che questa manifestazione non si interrompesse, perché è talmente facile tagliare sulla cultura, che se per un anno si salta il turno, non è affatto detto che l’anno dopo tu ci sia ancora. Poi se il mio naso non mi inganna, ed un direttore artistico deve avere naso, altrimenti sceglie a casaccio, io credo e spero che si possa dire che sarà un festival in cui, come ha scritto Rita Sala ( sul Messaggero, ndr), in quest’edizione ci sono meno titoli e più firme. Quindi minore quantità e maggiore qualità.
Allora non ci resta che aspettare il 26 giugno, quando con lo spettacolo di Lepage si aprirà questa quarta edizione del festival, durante la quale, ancora una volta, la nostra testata seguirà tutti gli eventi con news, approfondimenti, interviste e recensioni, e con un focus speciale su ”L’Opera da Tre Soldi”, che si preannuncia come l’evento teatrale dell’anno, e “Le Variazioni sul Mito” che lo stesso direttore De Fusco curerà per l’interpretazione di Giovanna Di Rauso.